Le Origini: Dal fiume al Paese

Uno studio sulla presenza del fiume Amporium già in epoche molto antiche, permette di dedurre che il toponimo Lamporo deriva da quel corso d’acqua e non dall’ipotetico Emporium citato da molti storici, fra i quali lo stesso Goffredo Casalis:

Fu già un Emporium, ossia un luogo di mercato, che diede pure il nome ad un torrentello che discende dalla regione ove sorgeva l’antico Uliacum, scorre nella pianura di Saluggia e dopo essere passato presso questo villaggio, s’inoltra nella campagna di Lucedio 22; 16 Si trovano molte cause intentate dai monaci per l’interruzione dell’acqua – Archivio di Stato di Torino. Per quanto riguarda la navigabilità, mancano, al momento, dati sicuri sulle dimensioni e sulla forma dei natanti. Cfr. N. DE BUFFON, Hydraulique Agricole, Paris [1861].

ripreso dallo studioso lamporese Ferruccio Deva:

Una delle tradizioni riportate, ricordata anche in una memoria dell’ex parroco don Giovanni Gianotti, parla di una zona detta “Emporium” in epoca romana (in latino significa zona di mercato), dove probabilmente poteva essere depositato anche fieno e altro materiale ingombrante del vicino accampamento cintato romano (Quadrata, la futura Crescentino), da cui sarebbe derivato, per successive variazioni volgarizzate, il nome Lamporo; questo abitato ci porterebbe almeno all’inizio dell’Era Cristiana 23.

Questa interpretazione era collegata alla corrispondenza della romana Quadrata con Crescentino, mentre ora l’antica città viene posizionata a ovest della Dora verso Verolengo 24. Lamporo, quindi, non ha origine in epoca di dominazione romana? Prove documentarie non esistono, ma tradizioni, vecchi racconti e alcune tracce lasciano aperte le ricerche. Si parla, in questo caso, delle regioni Fraschea e Valana, costituenti un’area che si eleva di parecchi metri dal livello delle acque del Lamporo e si trova a sud della strada che porta al mulino. L’ipotesi di
una prima localizzazione dell’abitato su tale rilievo venne studiata anche da Deva:

Un’antica tradizione orale vorrebbe l’abitato di Lamporo originariamente collocato proprio nella zona Fraschea-Nivolè-Vallana, poi trasferito lungo il corso d’acqua (la nostra roggia) denominato a sua volta “Lamporo” già in antichi documenti, in quanto, durante una delle solte epidemie di peste o di colera, i sopravvissuti avrebbero notato che alcuni abitanti in case già lungo la roggia non erano stati colpiti dall’epidemia 25.

Si dice che, in seguito a uno spianamento, «vennero alla luce da sottoterra degli otri (urs), che subito gli spianatori pensarono pieni di monete d’oro; fu una grande delusione quando videro invece che erano pieni di cenere!» 26. Gli antichi contenitori di terracotta pieni di polvere vennero così distrutti dagli scopritori, delusi per la miseria del contenuto. Sono anche stati rinvenuti frammenti di tegole romane. In riferimento a questo fatto, alcuni storici e lo stesso Deva si domandano sulla possibilità di una necropoli della cività di Golasecca; non ci sono fonti che possano confermare o smentire quello che resta tuttora un mistero 27. Su questa altura, nel XIV secolo 28, vi era una strada che, quasi certamente, doveva unire Crescentino con San Giacomo e con Livorno attraverso un guado sul fiume Lamporo.
Giovanni Franco Giuliano 29, quando indica i percorsi complementari alla via romana Liburnasca, indica proprio un cammino che parte dal convento di Loreto, raggiunge S. Giacomo, passa in un guado sul Lamporasso (spesso confuso con il Lamporo) e prosegue verso il Po.
Tuttora, in paese, alcuni agricoltori raccontano che, durante un’aratura più profonda, hanno incontrato tracce di lastricati fatti con pietre di fiume disposte in modo regolare e anche blocchi di mattoni che potrebbero far pensare a fondamenta di edifici 30. Si tratta comunque di reperti medievali che hanno una giustificazione nelle indicazioni storiche conosciute. Tuttavia non si può escludere totalmente la presenza di sepolcri in un terreno lontano da paludi e corsi d’acqua e lungo un tracciato non casuale, ben mantenuto e, quindi, importante.
Inoltre tombe di vario tipo e ceneri di cremati sono state trovate nelle frazioni di Crescentino e quindi non è improbabile la presenza delle urne cinerarie anche nella regione Fraschea.
Le prime notizie storiche sul nucleo abitato si trovano nei documenti collegati all’Abbazia di San Genuario, fondata nel 707 dai Longobardi, durante il regno di Ariperto II, e guidata da Gauderi, miles del re proveniente dal Nord. I terreni attorno all’abbazia erano improduttivi, ricoperti di foreste, paludi e corsi d’acqua e compito dei monaci doveva essere, oltre alla preghiera, proprio il dissodamento e la bonifica delle terre e, in conseguenza, il controllo sulle vie di comunicazioni 31.
Intorno all’abbazia sorsero strutture agricole autonome (curtis) legate giuridicamente alla comunità monastica e collegate al cenobio da strade e fiumi navigabili.
Gli elenchi dei possedimenti abbaziali sono spesso imprecisi e gli storici propongono interpretazioni non sempre condivisibili riguardo al numero e alla collocazione. Uno di questi insediamenti è indicato col nome di Curtis Montealti (o Montisalti) e potrebbe coincidere con Montalto 32, territorio confinante con la Frascheia 33, dove, fino ad una decina di anni fa, vi era ancora una cascina. I ruderi individuati potrebbero, pertanto, appartenere a edifici costruiti tra l’VIII e il XV secolo, ed essere collegati all’abbazia da un percorso che comprendeva Curtis Novae (Cornova), un altro possedimento dei Benedettini.
Le curtis erano dei piccoli villaggi dotati di strutture complete: forni, mulini, fienili, magazzini e fornaci. Il terreno, ricco di argilla, giustifica la costruzione di tali forni per produrre mattoni e, quindi, la disponibilità di laterizi per le costruzioni.
Non sempre il possesso delle cascine era sicuro: molti documenti papali e imperiali testimoniano che i poteri locali si contendevano i terreni, le abitazioni e le chiese e ribadiscono l’appartenenza a San Genuario dei territori.
In una Bolla papale di Eugenio III del 1151 34 viene indicata la Chiesa di San Vito e Modesto, facendo riferimento all’antica dedicazione della Parrocchiale di Lamporo, successivamente intitolata a San Bernardo da Mentone. Questa indicazione porta a credere che un nucleo abitato vicino al fiume Amporium esistesse già nel XII secolo, e che, favorito dalla presenza di acqua corrente, continuò a svilupparsi nel tempo, mentre villaggio di Montalto perdeva importanza e gli abitanti scendevano a “valle”. La tradizione orale parla di una pestilenza che, nel XIV secolo imperversò nel nord Italia e che portò i superstiti a insediarsi sulle rive dei fiumi, dove era più facile mantenere elementari condizioni igieniche, per la disponibilità di acqua corrente e non solo di pozzi.
Nelle pergamene dell’Abbazia di San Genuario, trascritte da Patrizia Cancian 35, appaiono molti toponimi, ancora in uso, che permettono di assegnare all’Abbazia quasi tutto il territorio attuale di Lamporo. Vengono citati Nivoleto, vicino a Montalto, Vallaudino, verso Livorno, Rascagno, verso l’attuale San Genuario. Vi è anche indicata una Curtis Herbadii, che molti storici hanno fatto coincidere con uno dei villaggi intorno a Borgo d’Ale. Tale villaggio apparteneva ai Conti di Cavaglià 36 e non risultano tracce della presenza dei monaci. A Lamporo, invece, esiste una cascina che si chiama Erbadio a pochi chilometri dal Cenobio e, quindi, si può parlare di una quasi certa attribuzione tra i beni attorno all’Abbazia. La decadenza di San Genuario e l’ascesa di Lucedio e Crescentino porta alla dispersione del territorio tra i comuni confinanti e Lamporo comincia a prendere la forma di un paese.
In una carta risalente al XVI secolo, un villaggio di ridotte dimensioni - l’abitato occupa solo la parte a sud del fiume Lamporo - viene collocato lungo il fiume e indicato col nome di «Case del Lamporo» 37; in un’altra carta 38 quasi coeva, si nota, invece, una chiesetta, di difficile individuazione, a nord del fiume.

Il paese comunque esisteva e non era poi così piccolo se, nel 1571, ci fu l’esigenza di creare una vera e propria parrocchia autonoma, staccata da Crescentino, motivando che «gli anziani non potevano recarsi nel capoluogo per le funzioni e molti bambini rischiavano di morire senza il battesimo mentre venivano portati a Crescentino, in particolare in inverno» 39.

Altre notizie si trovano in alcuni documenti 40 che riguardano la regione delle Avertole, un enorme territorio incolto, adibito alla caccia e al pascolo di ovini, bovini e suini. Per secoli vi sono stati contenziosi per la definizione dei confini, con dispute tra Livorno Ferraris, Fontanetto Po, Crescentino e San Genuario, sequestri di animali, multe per pascolo abusivo e interruzione dei corsi d’acqua che servivano per dissetare gli animali.
Queste liti hanno originato un notevole numero di documenti utili per comprendere l’economia del periodo: pascoli, gerbidi, zone coltivate, vigne e prime risaie.
Molto curioso è il resoconto di un sopralluogo eseguito, nei primi anni del Seicento, da alcuni delegati dei Savoia e da quelli del Monferrato, i quali riferiscono dei “termini” posti dai Livornesi per definire i confini: dimensioni di una colonna di marmo, alti fino alla cintola di un uomo e conficcati in un fosso di acqua stagnante.
Riguardo al territorio lamporese un agrimensore di nome Giovanni Battista Marchisio, esegue, nel 1624, una misurazione delle Avertole e rileva una superficie di 2926 giornate con cascine e chiese e un borgo lungo il Lamporo per un totale di 44 corpi di casa, una parrocchiale e una hostaria. Ci sono le case, gli abitanti e la Parrocchia, ma i terreni appartengono a Crescentino,
Livorno e San Genuario, non a caso, infatti, i Lamporesi vengono chiamati «Crescentinesi».
Le abitazioni indicate dovrebbero essere quelle sulla parte est e quelle comprese nelle Avertole.
Le altre, a sud del fiume Lamporo, verso ovest, erano effettivamente territorio crescentinese e tuttora non si è in grado di dimostrare con precisione se il fiume, anche da questo lato, costituiva il confine naturale tra Crescentino e Livorno.
La presenza reale di un nucleo consistente la si deduce dalla pergamena che ha sancito la nascita della nuova parrocchia e che riporta una popolazione di circa 600 anime 41.
Proprio di questo periodo di transizione, si riporta la nascita di un personaggio illustre a livello piemontese: Giacomo Bartolomeo Marone (1550 – 1623), senatore, secondo e poi primo presidente del Senato Sabaudo, infeudato, «per i servigi resi, di due “grange” presso Crescentino ossia a Lamporo» 42. L’analisi dei documenti e delle carte delle Avertole 43 mostra la collocazione di diverse cascine e chiese a nord dell’Amporium: la cascina del Francesco Fornaio, la cascina dell’Alfiere, la chiesa dei monaci di Lucedio e la chiesa dei monaci domenicani di Trino.
La presenza di edifici appartenenti all’Abbazia di Lucedio e ai Domenicani di Trino permette di ipotizzare l’uso del fiume per i collegamenti tra le grange delle Avertole e le Istituzioni religiose: chi, da Lamporo si sposta verso Leri Cavour, può immaginare le attività dei monaci e delle persone insediate in quei luoghi, può ridisegnare gli edifici, vedere le barche sulle rive dei corsi d’acqua e percepire quanta fatica sia stata spesa per trasformare le paludi e le selve in terreno agricolo.

BIBLIOGRAFIA

  • 17 Il fiume è il confine nord della regione delle Avertole ed è riportato nelle mappe dei sec. XVI e XVII (Archivio di Stato di Torino).
  • 18 Archivio di Stato di Torino.
  • 19 Archivio Ovest Sesia – Novara. Cfr. inoltre il sito http://www.valsesiascuole.it.
  • 20 Cfr. nota n. 7.
  • 21 Tipi del XVI e XVII sec. conservati presso l’Archivio di Stato di Torino.
  • 22 G. CASALIS, Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino [1855].
  • 23 F. DEVA, Appunti di storia..., cit., p. 23.
  • 24 G. RIGALSO, A.VIRETTI, F. SPEGIS, G. F.VILLATA, Mansio Quadrata, Comune di Verolengo, 1986. Inoltre Cfr. A. CESARE (a cura di), Le mappe storiche della città di Crescentino, Città di Crescentino 1999 – 2000.
  • 25 F. DEVA, Appunti di storia..., cit., p. 23.
  • 26 Ibidem, pp. 22-23.
  • 27 Ferruccio Deva scrive: «Se quegli “otri” fossero stati conservati ne sapremmo di più sull’origine di Lamporo.»Cfr. F. DEVA, Appunti di storia..., cit., p. 23.
  • 28 Cfr. documento presente nell’Archivio di Crescentino, Elenco strade – 1388.
  • 29 G. F. GIULIANO, Santa Maria di Isana, Accademia dei Livornesi, 2006.
  • 30 Tradizione orale.
  • 31 M. OGLIARO, L’atto di fondazione dell’Abbazia di San Genuario di Lucedio. Associazione culturale “Franco Francese” in Atti dei Convegni Storici sull’Abbazia di San Genuario, anni 2004, 2006.
  • 32 P. CANCIAN, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio e le sue pergamene, Torino 1975. NdA: attualmente conservati nella Biblioteca Storica Subalpina.
  • 33 NdA: nome che indicava un terreno coperto da arbusti o frasche.
  • 34 M. OGLIARO, L’atto di fondazione dell’Abbazia di San Genuario di Lucedio..., cit.
  • 35 P. CANCIAN, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio..., cit.
  • 36 L. DREBERTELLI, Sulle origini del comune di Borgo d’Ale, [1902]. Riedito un secolo dopo a cura del nipote Lodovico Drebertelli.
  • 37 Cfr. figura n. 11, Archivio di Stato di Torino.
  • 38 Cfr. figura n. 12, Archivio di Stato di Torino.
  • 39 Richiesta conservata presso l’Archivio parrocchiale di Lamporo.
  • 40 Archivio di Stato di Torino – Confini Monferrato.
  • 41 Archivio storico parrocchiale di Lamporo.
  • 42 A. MANNO, Il patriziato subalpino – manoscritto edito dall’associazione Vivant, 2000. Cfr. inoltre i sito dell’associazione http://www.vivant.it.
  • 43 Il territorio delle Avertole.

NdA: La parte più scura rappresenta il territorio livornese oltre l’Amporium, delimitato da termini in pietra. Viene citata la Valle Serpe che ora è in territorio lamporese. Tra Crescentino e il fiume non vi sono rappresentate case perché non interessavano per la definizione dei confini. Lamporo si trova a destra fuori pianta.
La mappa è una copia, su originale del XVI secolo, fatta in funzione di una causa del Duca di Chiablese contro l’Abate di San Genuario ed il Marchese Morozzo di Bianzè. L’originale,conservata presso l’Archivio di Stato di Torino, è molto rovinato ma sono anche indicate greggi e mandrie al pascolo. Si vedono anche le prime coltivazioni alle falde del monte Rezius.